Ammetto che mai quanto in questo periodo mi senta posto nella condizione di dovermi, e forse anche volermi, porre domande, rendermi più disponibile a scendere in profondità riguardo aspetti del vivere, personale e collettivo, la cui ricaduta sento profondamente subitanea e di straordinaria importanza se inserita nella dinamica interattiva della nostra attuale società.
Perchè che cosa ha questo periodo rispetto ad altri precedenti? Non posso negare che il lungo, e ancora non terminato, periodo del virus della covid-19, con le sue implicazioni sociali e sanitarie, e l' attuale conflitto in territorio Ucraino che coinvolge la popolazione autoctona e le relazioni internazionali, e in qualche misura anche me stesso, mi stiano fornendo motivi di riflessione.
E soprattutto oggi, 25 aprile, festa della liberazione italiana dall' assoggettamento imposto da parte della filosofia e agito nazista, porta con sè un simbolo importante che accostato al vissuto connesso al virus e al conflitto poc'anzi evocati ancora di più chiede di essere visitato e rivisitato, contestualizzato e valorizzato anche in aspetti che potrebbero rendere ancora più fondante il senso che esso porta con sè, ovvero quello che rimanda alla liberazione e alla realizzazione di una integrazione di intenzioni nuove e collettive, consapevoli e partecipate.
Sono profondamente consapevole che mettere in discussione o quanto meno cercare nuova luce per certe tradizioni e celebrazioni rischi sempre di condurre a fraintendimenti soprattutto da parte di chi tali sacralità laiche ma non di meno spirituali le viva come simbolo di rinascita e di rispetto verso la Vita e magari sentendosi offeso da una non intenzionale iconoclastia.
Non è ciò che desidero avvenga in queste righe. Anche io sento vibrante il senso della celebrazione del 25 aprile, seppur senta anche profondamente, esattamente come per il natale e la pasqua, non sia questione di un solo giorno, ma ogni giorno dell' anno.
Non faccio parte di quella tradizione che fin da piccolo mi ha educato alla devozione verso le gesta di grandi persone che hanno immolato se stesse per la causa della liberazione al fine di offrire alla collettività spiragli di possibilità nell' autodeterminare la propria cultura e le proprie scelte in direzioni da scoprire, riscoprire, esplorare, provare e fissare in nuove tradizioni e valori da tramandare o magari rivedere per costruire nuovi percorsi e nuove soluzioni che arricchiscano il senso dell' essere umani nel migliore delle rappresentazioni che dell' umano si possa e si voglia scegliere di far vivere in noi. E se oggi scrivo queste parole forse un motivo in più per ricordare questa festa un motivo c'è...
Questo sentimento collettivo l' ho appreso e ne ho apprezzato l' esistere intorno a me e l' ho accolto in me attraverso le esperienze. Benchè entrambi i miei nonni abbiano combattuto nella seconda guerra mondiale e abbiano offerto una porzione della loro vita per una causa che non so fino a che punto fosse sentita davvero come la loro, la mia famiglia non è stata accompagnata dal senso della partecipazione a questa festa. Forse per motivi "geografici" le mie origini non hanno favorito il mio esser battezzato in questa atmosfera.
La Vita è però fonte di grandissime sorprese e meravigliose modalità di auto esprimersi in apertura e possibilità, a priori neppure immaginate. Nonostante tutto sono entrato in contatto, e sottolineo, per fortuna e con grande gioia, con la tradizione del senso di diffusione e partecipazione ad un certo tipo di cultura. L' educazione ricevuta, seppur non orientata filosoficamente mi ha fornito delle basi di rispetto e disponibilità al confronto. Forse è stato maggiormente il mio temperamento a offermi occasione per revisionare certe reazioni all' ambiente. Complessivamente sono stato dotato di una sensibilità per la quale non posso che ringraziare i miei genitori e le contingenze che mi hanno e che ho attraversato. La scuola e soprattutto lo scoutismo mi hanno fornito quegli spunti di riflessione, quegli strumenti per approfondire il senso della disponibilità a mettere in discussione e a aprire al diverso, nuovo e al possibile, a far orientare, dirigere, tendere le forze interiori verso domande, curiosità e disposizioni d' animo tali per cui valesse la pena investire tempo ed energie per fare chiarezza e permettere comprensioni migliori.
Oggi, come psicologo e psicoterapeuta, mi pongo domande più strutturate e forse anche più "impertinenti" e insolenti. Non ho perso il senso del mettere in discussione seppur acquisendo il senso dell' avere sempre a disposizione una base, benchè transitoria, su cui permettere l' appoggio degli ingredienti partecipanti alle dinamiche di cusiosità. Mai vilipendio ma sempre valorizzazione.
Mi chiedo oggi cosa sia davvero la liberazione? cosa sia resistenza?
La storia è stata raccontata e scritta ma ad oggi sono sempre meno i resoconti diretti di chi quell' esperienza l' ha davvero vissuta e partecipata. Sappiamo verso chi e verso cosa sia stata esercitato il diritto e la volontà di resistere. E' conosciuto come sia stato esercitato il modo per ottenere la liberazione e cosa abbia, almeno nelle intenzioni di chi ha vissuto tutto ciò, desiderato offrire a coloro che da tutto questo avessero potuto beneficiarne.
Ma una domanda che mi pongo è: nei 77 anni dall' esperienza della resistenza partigiana e del raggiungimento della liberazione dal giogo nazista come si è delineata la consapevolezza collettiva riguardo ciò che è avvenuto durante i giorni intensi di rivoluzione e di liberazione? Quanto spazio oggi è ricoperto dal mito e dall' ideale e quanto è invece stato elaborato riguardo le più verosimili dinamiche, umanamente psicologiche e comportamentali, di chi ha partecipato quei giorni, di chi ha fatto la storia e di chi l' ha scritta e tramandata? Che comprensione, compassione ed empatia abbiamo saputo, voluto e potuto, distillare e ci siamo permessi di maturare nei confronti di chi questo processo di emancipazione non solo non lo abbia vissuto ne avallato perchè simpatizzante con il fascismo e il nazismo ma anche l' abbia apertamente osteggiato? Lo so qui gli animi si scaldano...come potremmo giustificare e avere compassione verso chi ha compiuto o reso possibili certi crimini, chi ha volontariamente sottratto vite ed esercitato oppressione e ingiuria nei confronti di vite libere?
Ovviamente, in pochi leggeranno queste righe, forse solo io che le sto scrivendo e leggo e rileggo affinchè la stesura possa acquisire una formattazione dignitosa per favorire la lettura e la comprensione. Gli animi si scaldano è vero, ma forse soprattutto in me esistono personaggi interiori che chiedono giustizia, chiedono sia fatta attentamente una analisi del comportamento subito, un tribunale di norimberga interiore che per qualche motivo si autoelegge giudice. Ma esistono anche altri personaggi che mi rappresentano e che suggeriscono altre domande come quella spinosa appena formulata su quelle personalità che non hanno saputo (o voluto) abbracciare il senso della sintonia e della integrazione basata su filosofia integrabili ma diverse scegliendo la modalità fascista e irrispettosa. Forse occorre solo essere giudici? O forse ci vuole anche una progettazione diversa del viviere e convivere, dell' accogliere bisogni e necessità? Perchè se sorgono differenze di vedute un motivo ci deve pur essere e censurarlo o addirittura rimandare a chi propone cose diverse da noi un epiteto sgradevole non è il miglior modo per creare armonia.
Mi chiedo, oggi, a distanza di anni, cosa abbiamo davvero imparato riguardo a come la storia matura, a come certe dinamiche si instaurano, e come si delineano. Cosa portò al fascismo? Cosa scatenò la voglia di liberarsi e sacrificare le vite personali per il prossimo? Quanto abbiamo in prima persona acquisito riguardo all' essere o meno partecipi a certe evoluzioni e rivoluzioni? Quanto oggi, dai 77 anni di possibilità di analisi conducibile a 360 gradi, accogliendo ogni aspetto senza privilegiarne uno in particolare e scegliendo non tanto la neutralità, quanto l' equanimità, si sia appreso qualcosa su cosa sia l' oppressione, come si possa esprimere e quante modalità possano esistere attraverso le quali si esplica in modi talvolta sottili e assai impalpabili ma nondimeno fonte di sofferenza? Cosa significa liberare e in che modo si può esercitare il diritto all' emancipazione e in virtù di quali scelte? La storia passata e la storia che si è delineata hanno offerto sguardi attenti e meno coinvolti per arricchire la consapevolezza generale?
Ad oggi, la consapevolezza collettiva quanto è diversa, libera ed emancipata rispetto a quella del 1945?
Mi domando quanto la scuola e l' educazione civica integrino le conoscenze e i distillati dell' osservazione della psicologia e del comportamento dell' essere umano nei pian di studio, offrendo ai nostri figli la possibilità di crescere con consapevolezza. Offrendo nuovi programmi che offrano esperienze per assaporare, comprendere e valorizzare i molteplici aspetti di quella libertà che tanto si apprezza soprattutto sotto assedio, non tanto e solo da persone che potrebbero opprimerci quanto anche dalle pastoie e dalle catene che gli ideali e le tradizioni rischiano a volte di mettere seppur nate all' inizio con intenzioni buone e sagge.
Chi è l' oppressore? Chi è il nemico? E' vero che facilmente colui che esercita oppressione è spesso identificabile come persona ma in quanto tale è come noi, un essere vivente munito di un apparato psicologico e funzioni cognitive e affetive da utilizzare più o meno adeguatamente per realizzare la proprie esperienza di Vita. E' certo che in condizioni di oppressione queste parole sono prettamente filosofia e ciò che serve è una carica energetica tale da conquistare una posizione di libertà dall' eventuale condizione di sottomissione. Il risultato è due persone che si contrappongono. Uno domina aderendo a un ideale e uno cerca di fuggire aderendo ad un altro ideale, la libertà. In quel momento l' umanità, intesa come comunicazione e confronto è persa. E' colpa di chi? C'è una colpa?
Ma in questi anni, l' umanità è stata riconquistata? I diritti civili sono diventati qualcosa per cui esser davvero soddisfatti ed orgogliosi? Oppure ha continuato a serpeggiare sotto mentite spoglie un atteggiamento di disattenzione, conseguente alla tendenza all' esser sedotti da proposte che non sono riconosciute come dannose o fuorvianti. Disattenzione non tanto perchè volontariamente vissuta quanto perchè è tipico dell' essere umano fare scelte di tipo economico riguardo le energie psicologiche da investire in aspetti diversi della vita e che siano considerati i più adeguati secondo noi. Investire nell' analisi, nell' osservazione, nella rinuncia ( a gradi diversi senza scadere nell' austerità e nel bigottismo) nel mettersi in discussione, nella frustrazione nel sapere che abbiamo fatto solo 100 metri quando saremmo più propensi a illuderci di averne fatte 10000.
L' oppressore, oggi è ancora l' altro da noi? Siamo oggi in grado, anche se dopo una prima naturale reazione di distanziamento, riconoscere la natura umana di colui che consideriamo il nemico? Abbiamo la disponibilità affettiva ed emozionale di non scambiare il nostro simbolo interiore proiettandolo esternamente su colui o colei che in qualche modo ce lo fanno emergere alla coscienza? Non parlo di restare disponibili alle "angherie" del prossimo ma mi chiedo se in questi anni si sia maturato una attenzione più sofisticata e sensibile verso come funziona l' animo umano, come ogni individuo risponda agli stimoli dell' ambiente, come scelga di sopravvivere, quali giustificazioni apporti alle proprie scelte, quanto investimento sia convogliato ad una attenta modalità di vivere basata sulla coscienza e sul fatto che molti meccanismi sono inconsci a noi stessi e quando emergono sia il momento ideale non tanto per scaricare responsabilità quanto per assumersene. Le ultime scelte del nostro governo, mi hanno fatto riflettere riguardo l' investimento in armi piuttosto che in ambito di ricerca e cura rivolta alla salute psicologica e fisica. Che si abbia paura più della nostra ombra? Una ombra così invisibile ma effettivamente rimbombante? Il "nemico" è una persona o è un ideale al quale scegliemo inconsapevolmente di confrontarci.
Il nemico non può essere in ognuno di noi e per trasformarlo abbracciarci senza preconcetti e con spirito di disponibilità accogliere la possibilità che le cose in noi avvengano anche in modo a noi sconosciute?
Chiedere ad un adulto di modificare l' aderenza all' impalcatura di pensiero e accogliere le reazioni psicologiche e affettive che albergano in sè è una richiesta molto impegnativa. Ogni adulto è figlio di sè stesso, delle proprie esperienze, delle proprie gesta di sopravvivenza e delle riuscite scelte attuate nel corso della vita. Difficile considerare l' idea che ogni atto sia temporaneo. Il senso dell' esistere è qualcosa per ogni individuo di fondamentale che richiede di non esser messo in discussione. Tutto, ma proprio tutto, dipende dal nostro vissuto, nostre credenze, convinzioni, che trovano senso nelle nostre strutture corporee, nelle aspettative e nelle motivazioni che spesso si attivano prima ancora che ci si renda conto che sono offerte che noi stessi facciamo a noi stessi senza mettere in discussione alcun chè ma considerando il tutto in modo acritico e devozionalmente inconscio e partecipato.
Ma se iniziassimo dai piccoli non ad insegnare loro, che etimologicamente rimanda a lasciare un segno in loro ma ad educare, ovvero portar fuori la loro potenzialità, nel creare studenti, che etimologicamente rimanda a creare una tensione alla realizzazione personale, scoprendo i talenti e le offerte che ogni individuo sia. Mostrando loro attraverso la nostra personale modalità di sacrificio, morendo a noi stessi per rinascere costantemente e liberandoci dalle nostre personali convinzioni, offrendo loro come integrarci e riscrivere il codice di rispetto interpersonale, come accogliere le nostre ombre, le nostre paure, come chieder scusa non come gesto neutralizzante ma come atto di rispetto e riconoscimento, potremmo orientare un nuovo modo di liberarci e rinascere ogni volta.
Sono consapevole che le parle che uso abbiano il sapore dell' ingenuità, ma anche in questo caso mi piace pensare alla sua natura etimologica, dove ingenuo è colui che dice spontaneamente ciò che sente. Insieme possiamo aiutarci a liberarci e a costruire una società sempre più inclusiva rispettosa delle tradizioni personali ma anche autenticamente affamata di diversità e nuove possibilità senza affamare il prossimo.
La ricostruzione è un processo fragile e difficile dove molte traiettorie energetiche chiedono di essere sostenute. Possiamo farlo insieme, per generare consapevolezza e allargare il senso della comunità, dove il diverso è opportunità e dove il terrorizzante una occasione per conoscersi e dove la bellezza e la gioia occasione per unire.
Con gratitudine.